Premessa: posto per volere della grande capa Frààà.
Questa FF non ha un senso prettamente logico, è piena, piena, piena di personaggi quindi probabilmente per chi la legge ci vuole un attimo a capire tutto.
Solitamente i titoli che metto ai capitoli sono canzoni: mi piace pensare che ogni capitolo abbia una colonna sonora.
Per ora ho scritto tre capitoli ma sono cattiva e ne posto uno alla volta ù.ù
A shipwreck in the sand.
I want to know: have you ever seen the rain
Coming down on a sunny day?
o1. Chapter: » Somewhere I belong.{I’m close to something real, I wanna find something I’ve wanted all along somewhere I belong
I wanna heal, I wanna feel, like I’m somewhere I belong.}
“Boston Logan International Airport” eccola lì spiattellata davanti ai suoi occhi: la prova che era arrivata, la certezza tangibile che era ritornata esattamente nel posto dove aveva trascorso quasi metà della sua infanzia e un pezzo poco rilevante di adolescenza; aveva la nausea e le girava terribilmente la testa ora come ora, sentendo lo speaker parlare e darle il benvenuto a Boston, non le sembrava poi un’idea così geniale essersene andata da LA.
Salutò sconcertata la hostess vicino al portellone dell’aereo che sorridente le aveva augurato un piacevole soggiorno, con un po’ di fortuna Rachel era come minimo bloccata nel traffico e lei avrebbe dovuto aspettare per almeno due ore vagando per l’aeroporto; frugò all’interno della borsa cercando il cellulare e una volta trovato lo accese, uno, due, tre, quattro messaggi: un paio di suo padre che voleva la certezza che fosse arrivata sana e salva, uno di sua cugina esaltata di rivederla e uno immancabile di Rachel che la avvertiva che a causa di un imprevisto non poteva andarla a prendere, ma la tranquillizzava che avrebbe mandato un sostituto, fantastico; se n’era andata da Boston otto anni fa e una delle poche persone che conosceva aveva appena mandato un perfetto sconosciuto a prenderla.
Ringraziò l’idea di suo padre di spedirle mano a mano tutte le sue cose vedendo passare sul nastro trasportatore la sua grossa valigia rossa, pensare che aveva cercato di prendere solo le cose necessarie per le prime settimane, la tirò giù a fatica e con un leggero calcio si aiutò a sbilanciarla per poterla trainare, seguì lentamente la folla uscendo dal terminal, si guardò attorno sconcertata alla ricerca di un volto famigliare, come se la cosa fosse possibile: si stoppò di colpo, arrossendo, un ragazzo alto vicino alla colonna stava tenendo in mano un cartello con scritto a caratteri cubitali il suo nome e cognome, alzato in bella vista come se stesse aspettando un manager di fama internazionale, si guardò attorno più volte per poi avvicinarsi piano a lui con la testa bassa «Ritira subito quel foglio» sibilò quasi guardandolo di sottecchi.
Il ragazzo si voltò quasi di scatto prendendo in pieno la valigia rossa e facendola cadere a terra, se non volevano dare nell’occhio la missione stava fallendo miseramente «Sto aspettando una persona, non posso ritirarlo» rispose abbassandosi per recuperare la valigia.
«Sono io Sally Parker,» esclamò mettendosi per bene la borsa sulla spalla «Ritiralo, per favore, sono imbarazzata a morte» sorrise forzatamente guardandolo.
«Oh,» boccheggiò il ragazzo squadrandola un attimo «Io sono Gregory» dichiarò impacciato tendendole la mano «Mi ha mandato Rachel ha avuto dei problemi e»
«Non è potuta venirmi a prendere» concluse lei la frase «Mi ha mandato un messaggio!»
«Beh, benvenuta a Boston,» rise prendendole la valigia dalle mani e iniziando ad incamminarsi verso l’uscita «Se fossi in te mi rimetterei la sciarpa» le consiglio vedendo dalla borsa penzolare fuori la fascia grigia.
«Non farà mica così freddo?» lo squadrò preoccupata mettendo il primo piede fuori dall’aeroporto, un’ondata di vento gelido la travolse scompigliandole i capelli e facendola rabbrividire, prese d’istinto la sciarpa dalla borsa e se la mise alla meglio stringendosi con le braccia il corpo «Sto rimpiangendo la California» lo guardò con un’occhiata alla ricerca della sua compassione.
«E se ti dicessi che l’unico mezzo di trasporto che ho trovato per venirti a prendere è la motocicletta di mio fratello?» domandò lui con uno sguardo pieno di preoccupazione.
«Ti direi che amo le moto, amo le moto in piena estate, con il caldo e il vento che ti rinfresca, e soprattutto senza valigia» si ammutolì improvvisamente «Scusa dove ce la infiliamo la valigia?» domandò perplessa «E no, non dire dove penso.» lo additò lei.
Gregory rise di gusto «La lasciamo in custodia a un mio amico che dovrebbe arrivare tra poco» si guardò attorno «Poco o subito, seguimi.»
Sally alzò gli occhi al cielo e si incamminò verso un ragazzo di altezza media che gli stava venendo incontro, la prima cosa che le saltò agli occhi furono di sicuro i suoi capelli, solo quando la figura si avvicinava poteva notare che no, non erano dread, ma era solo una folta chioma né riccia né liscia di capelli neri che le ricordavano Mowgli del libro della giungla, trattenne a stento una risata «Non voglio essere antipatico,ma devo scappare di nuovo a lavoro, quindi rimanderemo le presentazioni» esclamò sfuggente prendendo la valigia «Ciao Greg,» lo salutò con un pacca sulla spalla «Ciao Sally, giusto?» non aspettò la risposta per dirigersi a passo svelto verso l’automobile parcheggiata in doppia fila.
«Lui era Jamel, è uno svampito ma è un bravo ragazzo,» la illuminò Greg «E questa è la moto di mio fratello» aggiunse aprendo il bauletto per estrarre i caschi.
«Una kawasaky ninja del duemilanove, notevole.» esclamò prendendo il casco che il ragazzo le stava porgendo.
«Esperta!» affermò lui con un sorriso salendo in sella «Tieniti forte!»
Sally salì e si aggrappò alla maniglia dietro, ma appena il ragazzo mise in moto dovette spostarsi in avanti e aggrapparsi alla sua vita, probabilmente l’unica cosa che sapeva di quella moto era la marca, ancora più probabile era la prima volta che la guidava, questo non la rassicurava affatto: la sua valigia era nelle mani di un perfetto sconosciuto appena uscito dal libro dalla giungla e stava andando verso una meta non definita con un ragazzo che conosceva da malapena venti minuti che non sapeva guidare, doveva mettere come promemoria uccidere Rachel entro la mezzanotte.
Dopo venti minuti di viaggio la moto si fermò all’incrocio tra Beacon Street e Charles Street, la ragazza scese e provò sollievo nel mettere i piedi finalmente a terra, si tolse il casco e tentò di sistemarsi i folti capelli ricci; sorrise con piacere nel vedere che non era poi cambiato molto dalla sua partenza, si ricordava di quell’incrocio, le case di mattoni rossi in perfetto stile inglese e gli alberi a fianco del marciapiede che delineavano la strada, fece un giro attorno a se stessa come per volere esplorare con lo sguardo tutto quello che la circondava: alla ricerca del profumo di casa, alla ricerca di sentirsi a suo agio di nuovo, alla ricerca di un posto a cui appartenere. Quando si voltò completamente i suoi occhi brillavano, il Boston Common, i grattacieli sormontavano le alte piante del parco, gustò con lo sguardo quegli alberi colorati di arancione e rosso, quel malto erboso ricoperto di foglie contrastante con i sempreverdi, trattenne la voglia di correre su quelle foglie secche e di andare alla ricerca di qualche scoiattolo, sorrise come una bambina prima di ritornare con la testa sulla terra.
«Sal, dai sali, non aspettarmi qua al freddo!» la incitò Gregory girando la chiave nel portone.
«Oh, certo,» sorrise lei avvicinandosi «Abitavo da queste parti quando ero piccola» disse con in pizzico di malinconia.
«Noi ci siamo trasferiti qui da cinque anni circa, prima abitavamo a Leominster, non badare al casino per favore» appuntò aprendo la porta di casa «Avril,» chiamò «Avril» urlò più forte.
Sentì dei passi pesanti e veloci dirigersi verso l’ingresso «Tu,» lo additò dandogli una leggera spinta mentre Greg roteava gli occhi al cielo «Dove sono le chiavi? Tira immediatamente fuori le chiavi della moto!» sbraitò il ragazzo con fare poco amichevole.
«Paul calmo, le ho già appoggiate alla credenza, e la tua moto sta bene,» sbuffò sviandolo e andando verso la cucina.
Sally rimase impalata davanti al ragazzo che cercava disperatamente con lo sguardo le sue chiavi, quando le trovo tirò quasi un sospiro di sollievo, trarre velocemente la conclusione che fossero fratelli: il giovane uomo che aveva davanti era solo di un paio di centimetri più alto e con i capelli più scuri, nonostante la pettinatura con il ciuffo davanti agli occhi e qualche ciocca piastrata con cura all’insù, gli occhi color cioccolato fuso erano gli stessi, ma avrebbe potuto giurare che quelli dello sconosciuto che aveva davanti avessero qualcosa di magnetico.
«Greg, scusami» esclamò una ragazza con voce lagnosa «Ho provato a fermarlo, ho tentato anche di dargli venti dollari per farlo uscire di casa e non farlo tornare fino all’ora di cena.»
«Peccato che io per uscire uso la moto, e quando sono andato giù in garage, non solo mi sono reso conto di essere senza chiavi ma anche senza moto!» urlò il moro andando verso la cucina.
La riccia fece un paio di passi imbarazzata «Greg ascolta io posso andare a casa di Rachel a piedi, non penso che tarderà ancora molto» disse a bassa voce tentando di non attirare troppo l’attenzione.
«Sei l’amica californiana di Rachel?» cinguettò la ragazza voltandosi curiosa «Ti immaginavo bionda, ma sei bellissima lo stesso!» la abbracciò in segno di benvenuto «Io sono Avril, l’unica sana in mezzo alla famiglia Winston, Greg lo conosci già, e quello schizzato alto quasi due metri è Paul» li indicò e i due ragazzi sorrisero per la circostanza «E’ il fratello di mezzo, per questo soffre di crisi isteriche» le disse piano nell’orecchio e Sally non poté fare a meno di sorridere davanti a quella piccola famiglia così ben assortita.
«Piacere Paul» si avvicinò il ragazzo tendendole la mano «E quella che soffre di crisi isteriche è lei, sono io l’unico normale qui dentro.» appuntò schioccando un’occhiata agli altri due che alzarono gli occhi al cielo in un gesto simultaneo quasi teatrale. «Perdona questo piccolo disguido famigliare» aggiunse facendole l’occhiolino.
«Scusate» mimò la riccia con le labbra tirando fuori dalla borsa il cellulare «E’ Rachel!» aggiunse rispondendo e spostandosi verso l’ingresso.
«E’ carina,» esclamò fissando la ragazza mentre si spostava dalla loro visuale «Molto carina» aggiunse sorridente.
«Sei impegnato!» lo rimproverò Greg «E io sono il fratello più grazioso per lei» esclamò compiaciuto.
«Così mi piaci fratello!» gli diede una leggera pacca sulla spalla Avril «Datti da fare!»
Sentirono i passi di lei ritornare verso la cucina e si ammutolirono «Io andrei, sapete Rachel è tornata a casa» sorrise imbarazzata «Greg quando pensi che il tuo amico possa portarmi la valigia?»
«Domani mattina, ma ti accompagno!» si avvicinò lui.
«Oh no, ti sei già disturbato abbastanza» declinò l’offerta gentilmente «Ho voglia di fare due passi e poi Chestnut street è qui vicino vero?»
Avril annuì «Però non è bello che vai in giro da sola, dai fatti accompagnare, scegli uno dei miei due promettenti fratelli!» i due ragazzi la fulminarono con lo sguardo e lei si azzittì improvvisamente.
«Ti accompagno almeno alla porta,» si offrì Greg facendole strada «Se hai bisogno di qualcosa sai dove trovarmi» sorrise cordialmente aprendole la porta.
«Grazie di tutto» ricambiò lei uscendo «A presto, ciao Avril, ciao Paul» si avvicinò a Gregory e gli diede un leggero bacio sulla guancia «Ciao e grazie ancora.» si allontanò scendendo le scale lasciando il ragazzo impalato accanto alla porta mentre la guardava andare via.
Uscita si avvolse meglio nella sciarpa e respirò una buona quantità d’aria, l’aria pungente del sole che calava non le faceva sentire freddo, si sentiva un po’ a casa, forse non era stata poi un’idea così stupida andarsene da Los Angeles, forse avrebbe davvero potuto ricominciare da capo, camminò con le mani in tasta e la testa tra le nuvole; dopo quasi un quarto d’ora passato a camminare alzò gli occhi al cielo e si rese conto di non avere la più pallida idea di dove fosse: Pinkney Street, quella via non le ricordava nulla e di sicuro non era sulla strada giusta per andare a casa, prese in mano il telefono e compose il numero dell’amica, non avrebbe potuto ucciderla, in fondo era in debito con lei.
«Rachel,» esclamò con voce melensa «Credo di non essere esattamente sulla strada giusta,» sospirò «Penso di essermi persa.» concluse infine allontanando il telefono dall’orecchio, le urla della mora potevano renderla sorda in meno di un minuto.